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Lunedì 4 novembre 2002

presentazione del libro
L’ORDA
Quando gli albanesi eravamo noi
(Rizzoli Editore)

In collaborazione con Donne Città Futura


partecipa l’Autore
Gian Antonio Stella
editorialista Corriere della Sera

introduce

Brigitte Atayi

Donne Città Futura
Sala Convegni Cariverona

Ore 18.00
Proiezioni immagini d’epoca
(www.rcs.it)


Gian Antonio Stella con Brigitte Atayi

 

martedì 5 novembre 2002 , pag. 18



Libri & società. Il giornalista del Corsera è stato invitato dalle Donne Città Futura e dalla Società Letteraria

Quando gli xenofobi ce l’avevano con noi
Sala stracolma in via Garibaldi per la presentazione dell’«Orda» di Gian Antonio Stella
di Giancarlo Beltrame

Sala stracolma, con tutti i 220 posti a sedere occupati e almeno una settantina di persone in piedi lungo le pareti di fondo e laterali, per ascoltare la presentazione dell’ultimo libro di Gian Antonio Stella L'Orda, quando gli albanesi eravamo noi , edito da Rizzoli, organizzata dal Coordinamento Donne Città Futura e dalla Società Letteraria.
L’intervento dell’autore è stato preceduto da una toccante testimonianza, piena di una dignità rivendicata a tutta voce, di Brigitte Atayi, immigrata africana, originaria del Togo, in Italia da 12 anni, sposata con un italiano e con due figli italiani (anzi, «uno romano e uno zeviano», come ha raccontato per sottolineare il senso di appartenenza, un po’ ingenuo e insieme molto profondo, alla terra che li ha visti nascere), che ha messo in evidenza come leggendo le pagine di Stella abbia ritrovato applicate agli emigrati italiani molte delle categorie di giudizio (o meglio di pregiudizio) e di comportamento che lei ha vissuto sulla propria pelle dal 1991.
Con la medesima brillantezza della sua scrittura, Stella ha illustrato poi il senso del proprio libro, un «testo sulla xenofobia anti italiana», vista in una doppia ottica, quella della matrice razzista di chi sentiva i nostri antenati come invasori, e quella che «un po’ ce la andavamo a cercare con comportamenti oltre la legalità».
«Una ambiguità di fondo», ha rimarcato, «che allora investiva noi e oggi, che siamo diventati terra di immigrazione, loro, quelli che arrivano. Gli “albanesi” di turno».
Il percorso storico di Stella parte dalle grandi migrazioni della seconda metà dell’Ottocento e arriva fino «a ieri mattina», come ha più volte ripetuto, ossia all’inizio degli anni ’70, quando ancora in Svizzera c’erano mille bambini italiani clandestini, tenuti nascosti in casa, pena l’espulsione che spesso significava finire ospitati in un orfanotrofio sul confine per rimanere almeno un po’ vicini.
«Per decenni gli italiani hanno vissuto sulla loro pelle una ostilità molto dura, callosa, frutto di stereotipi di ogni tipo, nati persino sulle pagine dei letterati viaggiatori che visitivano l’Italia e se ne andavano convinti che fosse un “Bel paese con brutta gente”».
La lezione di Stella ci aiuta a capire meglio il fenomeno che ora viviamo dall’altra parte della barricata e a cercare di trovare risposte diverse da quelle troppo semplificatrici del razzismo imperante in alcune fasce della società e della politica. «Anche se non sono un buonista», ci tiene a sottolineare. «E chiedo regole certe e il loro rispetto».
Tra i numerosi interventi, molto limpido quello del procuratore aggiunto di Verona Mario Giulio Schinaia, «figlio di un emigrato che nel 1919 varcò l’Oceano e rimase 14 anni negli Stati Uniti». Per Schinaia, oggi come nel passato, il problema è che chi emigra per lavorare onestamente sente il peso dei comportante delinquenziali di alcune minoranze. «Scattano così meccanismi di generalizzazione che ingenerano il razzismo, ma dobbiamo imparare a considerare le persone per quello che sono e non per la razza, la lingua o la pelle».