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Mercoledì 24 settembre 2003 ore 16.30


Vittorio Alfieri e Ippolito Pindemonte nella Verona del Settecento

 

Società Letteraria di Verona

 

 

Convegno di Studi, Verona 22-24 settembre 2003

Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali

Comitato Nazionale per le Celebrazioni di Vittorio Alfieri 1999-2003

Università degli Studi di Verona – Dipartimento di Romanistica

 

Con la partecipazione di

Accademia Agricoltura Scienze e Lettere di Verona

Accademia Filarmonica di Verona

Biblioteca Civica di Verona

Fondazione Centro Studi Alfieriani, Asti

Società Dante Alighieri, Comitato di Verona

Società Letteraria di Verona

 

 

Saluto del Presidente

Alberto Battaggia

 

Presiede

Gino Tellini (Firenze)

 

Carlo Annoni (Milano)

Filologia ed esegesi: qualche nuova proposta sulla Mirra

 

Corrado Viola (Verona)

Appunti sull’immaginario alpestre in Alfieri e Pindemonte

 

Gian Paolo Marchi (Verona)

Vittorio Alfieri nella Vita d’Ippolito Pindemonte

di Bennassù Montanari

 

 

 



materiale esposto alla mostra in Biblioteca Civica

 

 

 

Chiuso ieri dopo tre giorni di lavori il convegno sui due poeti nella Verona del ’700 che ha visto presenti diversi specialisti
Alfieri e Pindemonte «concreti»
Immersione non solo nei problemi letterari ma anche nei luoghi
Paola Azzolini

Si è chiuso ieri nella Sala Montanari della Società Letteraria il convegno «Vittorio Alfieri e Ippolito Pindemonte nella Verona del Settecento», promosso in occasione delle celebrazioni alfieriane per il centenario(1999-2003) dal Dipartimento di Romanistica dell'Università degli Studi di Verona, coordinatore il professor Gian Paolo Marchi, con la partecipazione di varie istituzioni culturali cittadine (Accademia Filarmonica, Accademia di Agricoltura, Biblioteca Civica, Società Dante Alighieri, Società Letteraria).
In tre giorni intensi di lavori, aperti dal saluto del rettore Elio Mosele e di altre autorità accademiche, i convegnisti, specialisti di studi alfieriani e pindemontiani (Cerruti, Benucci, Arato, Dillon Wanke, Cappellari, Mazzotta, Fedi, Camerino, Longoni, Quadranti, Forno, Fabrizi, Luzzitelli,Verdino, Bertazzoli, Benzoni, Annoni, Viola, Marchi, Fabi, Fingerhurt, Pizzamiglio) hanno tracciato un efficace ritratto dei due personaggi e messo a punto i problemi e gli obiettivi che gli studiosi si prospettano per i prossimi anni. Mancava Paolo Rigoli, improvvisamente scomparso a pochi giorni dall'inizio del convegno, uno studioso veronese molto apprezzato e amato, che è stato ricordato, con termini di commossa partecipazione, dal professor Marchi.
Ma una delle caratteristiche, probabilmente rare in riunioni di studiosi come questa, è stata l'immersione non solo nei problemi letterari e filologici della Verona settecentesca, ma anche il concreto soggiornare nei luoghi più significativi e affascinanti in cui si mossero le figure dei due protagonisti, luoghi dove è segnata la fisionomia della città in questo periodo, tra tramonto dei lumi, ascesa rivoluzionaria e Restaurazione.
I convegnisti hanno lavorato nel salone affrescato con i medaglioni dalle iscrizioni greche di poeti classici, di Palazzo Giuliari, nell'aereo spazio della sala dell'Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, dove il settecento pittorico trova una delle sue più significative espressioni, nella Sala Maffeiana del Museo dallo stesso nome, voluto da uno dei più grandi ingegni veronesi del Settecento, Scipione Maffei, infine negli spazi armoniosi e già neoclassici della Sala Montanari della Società Letteraria.
Ma l'idea migliore, suggerita dalla passione erudita e letteraria dell'organizzatore, Marchi appunto, è stata quella di condurre questi posteri dei due grandi, che i due grandi hanno continuamente evocato, nelle ville dove si svolse una parte cospicua della attività, degli studi e degli amori di Ippolito Pindemonte, villa Mosconi Bertani a Novare, Villa Serego Alighieri a Gargagnago.
Quanto ad Alfieri, con la Contessa D'Albany soggiornò a Verona, dopo il 1792, ospite dell'Albergo Due Torri, allora il migliore della città. Volevano soprattutto visitare le colline di Avesa, dove, nella sua casetta, Ippolito aveva composto le «Poesie Campestri», piene dell'ispirazione della ninfa gentile, la melanconia. È una sensibilità, che nasce allora, per questi stati d'animo vagamente crepuscolari, per la poesia delle stagioni e anche per il sublime spettacolo delle montagne. Un segno anche questo della dimensione europea di questi autori, se si pensa ai contemporanei Kant e Rousseau.
Ancora un elemento di concretezza è venuto dalle immagini, i ritratti, in particolare il ritratto del Pindemonte, di mano ignota, esposto alla Biblioteca Civica, di cui si è suggerito un possibile autore.
Si affacciano in queste relazioni, talvolta pittoresche, non soltanto dotte, le donne, le "salonnières" o signore dei salotti del tempo, come l'affascinante Isabella Teotochi Albrizzi, veneziana e familiare o amante di molti grandi, tra cui Foscolo e lo stesso Ippolito; o la veronese Isabella Curtoni Verza, attrice drammatica per diletto sulle scene del Filarmonico e amabile intrattenitrice di ufficiali francesi durante l'occupazione.
Arrivano anche a Verona le fiamme della Rivoluzione francese e l'adesione cauta alle promesse di libertà o la sostenuta reazione a qualsiasi cambiamento si mescolano fra i nobili dotti e classicisti alle discussioni sul genere tragico. Perché è la tragedia il banco di prova della eccellenza poetica e già allora l'Alfieri, pur discusso per la sua durezza di stile, era ritenuto il vertice del teatro italiano. Alla rappresentazione della Mirra, a cui aveva assistito con la Contessa Guiccioli, Byron, il poeta inglese del Giaurro, in viaggio in Italia, viene preso da una commozione che si trasforma in vere e proprie convulsioni, segno del profondo che il teatro è capace di smuovere.
Ma la tragedia continua ad essere uno spettacolo per pochi intenditori colti. Anche gli attori sono dilettanti spesso nobili (Alfieri stesso recita il «Saul»), perché la tragedia italiana nasce per la lettura piuttosto che per il palcoscenico. Con un'eccezione almeno, le tragedie di Giovanni Pindemonte, fratello di Ippolito, che portano in scena una serie di elementi realistici (il pollaio del «Cincinnato»!) e vengono recitate per sessant'anni, anche da attori come Gustavo Modena. Ma Giovanni, a differenza del moderato Ippolito, era uno spiritaccio acceso e anticlericale, massone, che piaceva ai patrioti risorgimentali, laici anch'essi. Il suo teatro con la presenza di elementi visivi di scena, di musiche e di balli era sulla strada della modernità.
Per chi poi volesse approfondire i temi e i problemi che sono rimasti sul tappeto sarà utile tornare al Fondo Pindemonte della Biblioteca Civica, recentemente ordinato insieme a quanto resta della sua biblioteca, ricchissima, ma mutilata da guerre, vendite, traslochi. Non meno importanti i volumi dell'Edizione nazionale delle Opere di Vittorio Alfieri che stanno avvicinandosi rapidamente alla pubblicazione integrale di tutto quanto Alfieri ci ha lasciato, non solo come opere compiute, ma come abbozzi, appunti, lettere ecc.
Come tutti gli incontri di studio riusciti, anche questo offre spazio per lavori futuri.
Paola Azzolini